Il concetto di sé: chi sono io?
Il concetto di sé è la risposta di una persona alla domanda “chi sono io?”. Esso si riferisce all’autovalutazione di sé in un ambito specifico (ad esempio accademico, atletico o dell’aspetto fisico).
Gli elementi del concetto di sé vengono definiti schemi di sé: modelli mentali che strutturano e guidano l’elaborazione di informazioni importanti per il sé. Essi influenzano il modo in cui le persone percepiscono, ricordano e valutano sé stessi e gli altri.
Se ad esempio essere un atleta è uno degli schemi di sé di un ragazzo, egli tenderà a notare il corpo e le abilità fisiche degli altri e richiamerà alla mente con maggior facilità esperienze legate allo sport, registrando informazioni coerenti con il suo schema di sé.
Processi autoreferenziali
Il sé influenza anche la nostra memoria, attraverso un fenomeno noto come effetto autoreferenziale. Esso si riferisce alla tendenza ad elaborare e ricordare meglio le informazioni relative a se stessi. Quando l’informazione è coerente con il concetto di sé, la si elabora facilmente e la si ricorda senza difficoltà. Riusciamo infatti chiaramente a ricordare ciò che una persona ha detto di noi rispetto ad altre cose dette.
Ciò avviene perché i ricordi si formano intorno all’interesse principale, ovvero, se stessi. L’effetto autoreferenziale evidenzia infatti un aspetto fondamentale del funzionamento dell’essere umano: il senso del nostro sé è il centro del nostro mondo.
Sé possibili
Il concetto di sé include non solo gli schemi di sé incentrati su chi si è qui e ora ma anche su chi si potrebbe diventare in futuro, ossia i sé possibili. Essi includono sia le concezioni del sé che si sognano (il sé ricco, il sé amato) che le concezioni del sé che si temono (il sé non realizzato, il sé non amato).
I sé possibili (fantasticare sul proprio futuro o avere paura del proprio futuro) non sono inutili, poiché possono offrire la motivazione necessaria per diventare ciò che si vuole e per evitare ciò che non si vuole. In altri termini essi offrono una motivazione che alimenta la vita a cui si aspira e, di conseguenza, muovono i nostri comportamenti.
Cosa determina il concetto di sé?
Se da un lato gli studi condotti sui gemelli evidenziano l’influenza del patrimonio genetico sulla costruzione del concetto di sé, dall’altro, anche l’esperienza sociale gioca un ruolo molto importante.
La psicologia sociale ha infatti dimostrato che tra i principali fattori che determinano il sé figurano: i ruoli sociali, l’identità sociale, i confronti sociali, i successi e gli insuccessi, i giudizi degli altri e, in senso più ampio, la cultura.
I ruoli sociali
Il ruolo sociale è un insieme di aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe comportarsi una persona in una particolare posizione sociale.
Quando si assume un nuovo ruolo (ad esempio studente, genitore, insegnante), nella fase iniziale se ne è consapevoli e ci si può sentire finti. In tali occasioni si può percepire un’autoconsapevolezza ossessiva: si presta un’eccessiva attenzione ai nuovi discorsi che si fanno e alle nuove azioni in quanto non li si riconosce come naturali. Tuttavia, gradualmente il ruolo viene assorbito all’interno della percezione del sé e diventa naturale. In altri termini, i ruoli adottati arrivano a plasmare gli atteggiamenti ed il concetto di sé.
L’identità sociale
Il concetto di sé non include solo l’identità personale (ovvero la propria percezione degli attributi personali) ma anche l’identità sociale, ossia, la definizione sociale di ciò che si è (per razza, religione, genere, specializzazione accademica…). Quest’ultima implica anche una definizione di ciò che non si è.
Quando si fa parte di un gruppo ristretto circondato da un gruppo più ampio, si è spesso consapevoli della propria identità sociale (ad esempio uno studente di colore in un’università a maggioranza bianca avvertirà la propria identità etnica in modo evidente reagendo di conseguenza), mentre quando il gruppo a cui si appartiene costituisce la maggioranza si tende a pensare meno a esso.
I confronti sociali
Il confronto sociale è la valutazione delle proprie capacità e opinioni mediante il confronto tra sé e gli altri.
Festinger nella sua teoria del confronto sociale sostiene che quando le persone sono incerte e non sono disponibili informazioni oggettive per valutare il sé, esse valutano sé stesse attraverso confronti con altri simili. In altri termini, coloro che ci circondano definiscono gli standard in base ai quali ci definiamo intelligenti o stupidi, simpatici o antipatici.
Tale processo avviene automaticamente. Assistendo a ciò che fa o dice un pari, infatti, non si può fare a meno di effettuare un paragone.
È per tanto possibile provare un certo piacere per il fallimento di un pari o paragonandosi con chi è meno abile o meno fortunato (confronto discendente). Tali confronti difendono il sé e proteggono l’autostima.
È tuttavia possibile in egual misura attenuare la propria soddisfazione e minare la propria autostima quando ci si confronta – in scala verticale – innalzando gli standard in base ai quali si valutano le riuscite e i fallimenti (confronto ascendente).
I successi e gli insuccessi
Il concetto di sé è alimentato anche dai successi e dagli insuccessi.
Avere successo significa sentirsi più competenti e ciò alimenta l’autostima, soprattutto quando i risultati ottenuti sono frutto di grande sforzo, impegno costante e dedizione.
Al contrario sperimentare insuccessi può alimentare una scarsa autostima e talvolta essa è causa di qualche problema. Le persone con una bassa autostima sono infatti generalmente più tristi, più nevrotiche, soffrono più facilmente di ansia e depressione e sono più predisposte alla dipendenza da alcool e droghe.
I giudizi degli altri
Il concetto di sé è alimentato anche dai giudizi degli altri. Il fatto che gli altri abbiano una buona opinione di noi aiuta a pensare bene di se stessi. Essere definiti dagli altri come intelligenti e dotati aiuta ad assimilare tali concetti nel proprio comportamento e nel proprio concetto di sé.
In particolare, ciò che conta per il concetto di sé non è tanto come gli altri ci vedono in realtà, bensì il modo in cui noi immaginiamo che ci vedano.
Questo effetto prende il nome di rispecchiamento: il modo in cui le persone pensano di essere percepite dagli altri viene utilizzato come una sorta di specchio per percepire se stessi.
Un ulteriore aspetto da sottolineare è che in genere le persone nelle relazioni interpersonali tendono a fare complimenti e a trattenere le critiche. È perciò possibile sopravvalutare l’apprezzamento degli altri, enfatizzando l’immagine del sé. L’immagine sproporzionata del sé o autoenfatizzazione è più marcata nelle culture occidentali.
La cultura
Per la maggior parte delle persone che appartengono alle culture occidentali prevale maggiormente l’individualismo.
Le culture individualistiche considerano l’individuo come unità di base della società e prestano molta attenzione alle differenze individuali. I gruppi sono numerosi, di grandi dimensioni e hanno un’influenza molto debole.
La persona attribuisce priorità agli scopi e al successo personali e i valori enfatizzati sono l’autonomia, la libertà, la realizzazione di sé, il successo, il piacere e il divertimento, valori rispetto ai quali il gruppo sembra essere più un freno che un trampolino di lancio.
Il sé che si sviluppa in questo tipo di culture è un sé idiocentrico: l’individuo è il centro dinamico della consapevolezza, delle emozioni e delle azioni. Le persone si descrivono evocando attributi personali con scarso riferimento ai gruppi sociali d’appartenenza.
Si parla dunque di un sé indipendente, autonomo, caratterizzato da attributi interni.
Per la maggior parte delle persone che appartengono alle culture orientali prevale invece il collettivismo.
Le culture collettiviste considerano il gruppo come unità di base della società e tendono ad annullare le differenze individuali dei suoi membri. Questi modelli culturali sono caratterizzati dalla presenza di pochi gruppi di piccole dimensioni e molto influenti.
La dipendenza degli individui all’interno di queste culture è molto forte e la persona è pronta a sacrificare i propri scopi e il proprio successo a favore di quelli del gruppo. I valori enfatizzati sono la cooperazione, l’integrità familiare, la sicurezza, l’equità, l’onesta, il dovere e l’obbedienza.
Il se tipico di queste culture è un sé allocentrico: diventa significativo e completo solo nell’ambito delle relazioni sociali.
Il sé è dunque interdipendente e le persone si descrivono in termini sociali e regolano il proprio comportamento in funzione degli altri.
Definire le culture come esclusivamente individualistiche o collettiviste è tuttavia un’eccessiva semplificazione poiché il livello di individualismo varia da persona a persona e tra regioni e regioni. Inoltre, le culture possono cambiare nel tempo e al giorno d’oggi è possibile individuare un orientamento sempre più individualista.