Il commitment o impegno organizzativo: cos’è e perché è importante?

Gli psicologi del lavoro e delle organizzazione sono interessati a comprendere le reazioni psicologiche dei dipendenti nei loro luoghi di lavoro.

Non sorprende che gran parte di questo interesse si concentri sull’impegno dei dipendenti verso le organizzazioni per le quali lavorano. Tra le varie variabili relative l’atteggiamento lavorativo maggiormente studiate dagli psicologi vi sono la soddisfazione lavorativa e il commitment o impegno organizzativo.

Anche se ci si può aspettare che il commitment organizzativo si sviluppi sulla base di fattori sia dell’esperienza personale che lavorativa, l’esperienza organizzativa costituisce uno dei fattori di influenza cardine di questo fenomeno.

Alcune variabili di una persona (ad esempio, età, città di provenienza) sono modestamente correlate al commitment organizzativo, ma è ciò che le persone sperimentano sul lavoro che sembra avere maggiore influenza sullo sviluppo di un impegno lavorativo positivo.

In generale, il commitment organizzativo può essere definito come il legame esistente tra un lavoratore e la propria organizzazione, il quale rende meno probabile l’abbandono volontario di quest’ultima (Meyer e Allen, 1990). Esso risulta indipendente dalle intenzioni comportamentali che le persone possono avere. Più nel dettaglio, le tre componenti principali del commitment riguardano l’impegno affettivo, normativo e continuativo.

Per quanto riguarda l’impegno affettivo, la letteratura suggerisce che esso è più forte tra i dipendenti che sentono di essere supportati dalle loro organizzazioni e che hanno sperimentato una giustizia procedurale, distributiva e interazionale sul posto di lavoro.

L’impegno affettivo è anche più forte tra i dipendenti che sperimentano un minimo di ambiguità di ruolo e conflitti di ruolo sul posto di lavoro e hanno leader che adottano stili di leadership di tipo trasformazionale, ovvero un leader che si impegna attivamente con i suoi seguaci, creando con essi una relazione che eleva sia la propria motivazione e il proprio morale, sia quello dei sottoposti.

L’impegno affettivo è legato a diversi indicatori chiave di prestazione. I dipendenti con un maggiore impegno affettivo hanno meno probabilità di essere assenti dal lavoro, soprattutto se si parla di assenza volontaria piuttosto che involontaria, come quella causata da malattie ed emergenze.

L’impegno affettivo prevede anche migliori prestazioni lavorative: queste ultime, infatti, sono più alte tra i dipendenti con un maggiore impegno affettivo. Questi ultimi hanno maggiori probabilità di adottare comportamenti positivi in linea con una corretta cittadinanza organizzativa (ad esempio, esercitando sforzi straordinari, aiutando i colleghi, sostenendo l’organizzazione) rispetto a quelli con un debole impegno affettivo e, così facendo, contribuiscono a creare un ambiente di lavoro più produttivo e positivo.

L’impegno normativo, invece, sembra si sviluppi sulla base di esperienze sia culturali che organizzative che evidenziano le aspettative di reciprocità tra i dipendenti e l’organizzazione.

Ci sono anche alcune prove che l’impatto delle esperienze lavorative sull’impegno normativo dipende dai valori culturali dei dipendenti, come l’individualismo contro il collettivismo.

L’impegno normativo potrebbe influenzare il tono con cui i dipendenti svolgono il proprio lavoro, in particolare se hanno anche livelli di impegno affettivo da debole a moderato. Questi ultimi, infatti, potrebbero continuare a svolgere il proprio lavoro perché si sentono obbligati a continuare a farlo, senza impegno affettivo e con riluttanza, generando risentimento e frustrazione che li espongono maggiormente a rischi quali burnout e turnover.

La continuità nell’impegno organizzativo è più strettamente correlata alle alternative percepite e investimenti percepiti. Nello specifico, l’impegno alla continuità è più forte tra i dipendenti che ritengono di avere poche, piuttosto che numerose, valide fonti di occupazione se lasciassero l’organizzazione.

Presumibilmente, i costi per lasciare la loro attuale organizzazione sarebbero piuttosto alti per tali impiegati.

L’impegno alla continuità è anche più forte tra i dipendenti che credono di aver fatto investimenti significativi nello sviluppo delle loro competenze e nell’acquisizione di un expertise che non sarebbe stata trasferita facilmente ad altre organizzazioni.

Rispetto ai dipendenti che hanno competenze facilmente trasferibili, tali dipendenti potrebbero sostenere costi maggiori se lasciassero l’organizzazione.

L’impegno affettivo, normativo e di continuità sono tutti negativamente correlati all’intenzione dei dipendenti di lasciare volontariamente l’organizzazione. Sia l’impegno affettivo che l’impegno normativo, ma non l’impegno di continuità, sembrano essere fattori importanti di impegno lavorativo anche più dell’importanza dello stipendio e dello status sociale che si ricopre all’interno della propria azienda.

Stimolare il commitment organizzativo è importante non solo per il clima organizzativo, ma anche per la produttività della propria organizzazione e per il benessere dei propri dipendenti e della propria azienda in generale.

Migliorare il proprio benessere condurrà naturalmente ad un maggiore commitment verso la propria organizzazione

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